In questi giorni si sta parlando molto di una sentenza della Corte d’Appello di Milano, secondo cui la retta della rsa di una donna malata di Alzheimer e ricoverata in una struttura sanitaria assistenziale deve essere a totale carico del Sistema sanitario nazionale. Sul tema da diversi anni si moltiplicano le sentenze, ma con approcci opposti. Alcune sostengono che le prestazioni socio-assistenziali di rilievo sanitario vanno ricondotte a quelle a carico del Ssr e che pertanto nessun contributo può essere posto a carico del paziente (cfr sentenza della Corte di Cassazione n. 4752/2024, depositata il 22 febbraio 2024); alcune invece all’opposto affermano che la valenza sanitaria di alcune prestazioni erogate in rsa non determina l’automatica addossabilità al Ssr degli interi costi del ricovero, confermando il sistema di compartecipazione alla spesa da parte dell’utente. Un approfondimento. [ndr]
Negli ultimi anni il tema del finanziamento delle prestazioni in regime di lungodegenza rivolte ad anziani non autosufficienti ricoverati presso strutture sociosanitarie è stato oggetto di pronunce giurisprudenziali di diverso orientamento. In taluni casi, l’orientamento è stato quello di ricondurre queste prestazioni nell’alveo di quelle a totale carico del Servizio sanitario nazionale, sulla base dell’asserita rilevanza sanitaria di parte delle prestazioni erogate e dell’inscindibilità delle stesse con le prestazioni di carattere più sociale o alberghiero, assolutamente normali nell’ambito di una prestazione di lungodegenza.
I numeri dello scenario di contesto
Dobbiamo ricordare che ad oggi in Italia vi sono cica 300mila posti letto in rsa e che la popolazione target di questi servizi è costituita da persone grandi anziane ultraottantacinquenni, con tre o più comorbilità. Si tratta di una popolazione diversa in termini di età e comorbilità da quella destinataria della assistenza domiciliare che invece è prevalentemente costituita da ultrasettantacinquenni, anch’essi portatori di patologie croniche ma in numero più limitato e meno avanzato nel loro decorso e con una modalità di presa in carico che, in termini di appropriatezza, rende preferibile e funzionale un intervento domiciliare di minor complessità assistenziale. I dati Istat inoltre parlano di una popolazione anziana ormai superiore ad un quarto della intera popolazione italiana ed un numero di ultrasettantacinquenni superiore al 7% della popolazione stessa: si tratta di ben più di 4 milioni di persone.
L’1% della popolazione assorbirebbe da solo un terzo dell’intera spesa sanitaria nazionale
Le pronunce giurisprudenziali orientate a ritenere a totale carico del Servizio sanitario nazionale il ricovero in rsa degli anziani non autosufficienti – le sentenze riguardano persone affette da patologia di Alzheimer ma in realtà i presupposti di interpretazione normativa sono applicabili alla quasi totalità dei ricoverati – parlano a volte di inscindibilità tra la prestazione sanitaria e quella sociale, altre volte riferiscono di una supposta prevalenza delle prestazioni di tipo sanitario relativamente a ricoveri di soggetti fragili in regime residenziale. In ogni caso il risultato è quello di ricondurre l’intero costo del ricovero nell’ambito del Ssn.
Laddove davvero si ipotizzasse che il Fondo sanitario nazionale dovesse prendersi carico della totalità dei ricoveri in rsa, la spesa attuale aumenterebbe di oltre 10 miliardi di euro con una prospettiva, dove ci adeguassimo alla media di posti letto necessari, di dover disporre di oltre 20 miliardi di euro
Il Fondo sanitario nazionale ad oggi ha una dotazione di 120 miliardi, con i quali finanziare non solo la spesa sanitaria e sociosanitaria composta da attività ospedaliere, riabilitative, ambulatoriali e di medicina territoriale ma tutta la spesa farmaceutica (che vale circa la metà della somma complessiva). Laddove davvero si ipotizzasse che il Fondo sanitario nazionale dovesse prendersi carico della totalità dei ricoveri in rsa, la spesa attuale aumenterebbe di oltre 10 miliardi di euro con una prospettiva, laddove ci adeguassimo alla media di posti letto necessari applicata negli altri paesi europei, di avere la necessità di disporre di oltre 20 miliardi di euro.
Si tratterebbe quindi di stanziare 20 miliardi di euro – pari a un terzo dell’intera spesa nazionale attuale per interventi sanitari, tolta la spesa farmaceutica – per una quota della popolazione utraottantcinquenne corrispondente, anche nella ipotesi più ampia, a meno dell’1% della popolazione.
Si tratterebbe di stanziare 20 miliardi di euro – pari a un terzo dell’intera spesa nazionale per interventi sanitari, tolta la spesa farmaceutica – per una quota di over 85 corrispondente a meno dell’1% della popolazione
Il Sistema Sanitario Nazionale, nato per la cura degli acuti e oggi impegnato in un processo di trasformazione per la presa in carico delle cronicità, dovrebbe quindi farsi carico di costi che non hanno più come fine prevalente la tutela del bene salute con interventi sanitari, andando invece a sostenere anche quei costi più propriamente alberghieri e/o comunque sostituitivi di un’assistenza tutelare che si potrebbe ottenere presso la propria abitazione. È di tutta evidenza che in un contesto di risorse necessariamente limitate una simile traslazione di costi verrebbe a mettere in enorme difficoltà il Ssn, con il rischio di mettere in discussione il nostro sistema universalistico. Sistema che, è giusto ricordare, si sostiene sulla compartecipazione fiscale da parte dei cittadini oggi chiamati con fiscalità dedicata, in particolare Irap ed Iva, a finanziare per intero il Fondo Sanitario nazionale.
È di tutta evidenza che in un contesto di risorse necessariamente limitate una simile traslazione di costi verrebbe a mettere in enorme difficoltà il Ssn, con il rischio di mettere in discussione il nostro sistema universalistico
Inscindibilità delle prestazioni non significa inscindibilità dei costi
Tornando alla normativa vigente, per quanto attiene all’universo delle rsa, non si può prescindere dalla definizione data dal DPR 14 gennaio 1997: “presidi che offrono a soggetti non autosufficienti, anziani e non, con esiti di patologie, fisiche, psichiche, sensoriali o miste, non curabili a domicilio, un livello medio di assistenza medica, infermieristica e riabilitativa, accompagnata da un livello alto di assistenza tutelare e alberghiera, modulate in base al modello assistenziale adottato dalle regioni e province autonome”: una definizione che già pare delineare una prestazione che è necessariamente diversa da quelle per le quali si stabilisce l’integrale pagamento a carico del Ssn.
Il successivo DPCM 14.2.2001, “Atto di Indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni sociosanitarie”, e il successivo DPCM 29.11.2001 “Definizione dei livelli essenziali di assistenza”, fanno riferimento – per l’individuazione delle tipologie di prestazioni ascrivibili all’area socio-sanitaria e il relativo finanziamento – all’intensità assistenziale di cui il singolo utente necessita in base al proprio Progetto personalizzato, individuando tre livelli: fase intensiva (impegno riabilitativo specialistico di tipo diagnostico e terapeutico, di elevata complessità e di durata breve e definita; fase estensiva (minore intensità terapeutica, presa in carico comunque specifica, programma assistenziale di medio o prolungato periodo); fase di lungoassistenza (finalizzata a mantenere l’autonomia funzionale possibile e a rallentare il suo deterioramento, favorire la partecipazione alla vita sociale, anche attraverso percorsi educativi)
Le prestazioni erogate in rsa riportato nelle tabelle allegate ai Lea del 2001. Lo stesso DPCM 14.2.2001, così come le tabelle di cui all’allegato 1 C del DPCM 29.11.2001, prevede che i costi delle fasi intensiva e estensiva di anziani non autosufficienti con patologie cronico degenerative siano a totale carico del Ssn, mentre quelli della lungoassistenza siano ripartiti al 50% tra Ssn e utente/Comune.
Riprendendo ancora il tema della natura delle prestazioni erogate, è indubbio che si tratti di prestazioni sociali a rilevanza sanitaria ma già l’art. 30 del DPCM 12.1.2017 prevede che, per le persone anziane non autosufficienti, se ricoverate in unità di offerta sociosanitarie, siano da considerare a totale carico del Fsr solo i trattamenti estensivi di cura e recupero funzionale, di durata, di norma, non superiore a 60 giorni mentre i trattamenti di lungo assistenza, recupero e mantenimento funzionale, ivi compresi interventi di sollievo per chi assicura le cure, sono “a carico del SSN per una quota pari al 50% della tariffa giornaliera”. Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 604 del 6/2/2015, ha già chiarito che la riconduzione dei malati di Alzheimer all’area dei malati psichici (con conseguente integrale copertura sanitaria del ricovero) è una forzatura. La Corte di Cassazione da parte sua ha già avuto modo di precisare che gli enti del servizio sociosanitario residenziale erogano “una prestazione di servizio (assistenza sanitaria obbligatoria), di contenuto predeterminato, in favore del soggetto cui è assicurata ex lege la tutela della salute, affidata al Servizio sanitario pubblico, alle condizioni quali-quantitative ed anche tariffarie determinate dal Piano sanitario nazionale e dai Piani sanitari regionali in base alle risorse finanziarie disponibili, condizioni e tariffe che detta struttura è tenuta ad accettare se intende svolgere tale attività’”(Cassazione Sentenza n. 28321 del 28/11/2017).
Anche ove ricorra l’ipotesi di prestazioni congiunte ed indissociabili necessarie ad assicurare la cura e la tutela della salute della persona, può sussistere il frazionamento “forfetario” della spesa tra Fondo sanitario nazionale e regionale da un lato ed intervento economico integrativo dei Comuni o dei privati dall’altro
Questo significa che anche ove ricorra l’ipotesi di prestazioni congiunte ed indissociabili necessarie ad assicurare la cura e la tutela della salute della persona, il frazionamento “forfetario” della spesa – tra Fondo sanitario nazionale e regionale da un lato ed intervento economico integrativo dei Comuni o dei privati dall’altro – determinato “in proporzione della incidenza” che rivestono le prestazioni di differente natura, rimanga assoggettato ai limiti tariffari previsti per la spesa sanitaria.
In termini analoghi, la Corte di Cassazione con sentenza n. 29334 del 13/11/2019 nel definire le prestazioni sanitarie di rilevanza sociale come “prestazioni nelle quali la componente sanitaria e quella sociale non risultano operativamente distinguibili e per le quali si è convenuta una percentuale di costo non attribuibile alle risorse finanziarie destinate al Servizio sanitario nazionale” ha ricondotto le prestazioni cosiddette integrate nell’ambito del servizio sanitario con la limitazione dell’intervento della spesa pubblica alla sola parte sanitaria della prestazione, che, in quanto non distinguibile sul piano dei singoli servizi erogati, è stata individuata “forfetariamente” in termini percentuali pari alla metà dell’importo del costo complessivo. In questa linea si possono indicare molteplici pronunce di merito e di legittimità.
Nessun automatismo
Di contro, la più recente giurisprudenza della Cassazione, più volte in questi giorni riportata dai media, pur non contestando la ricostruzione normativa sopra indicata, ha invece apparentemente riconosciuto l’esclusiva competenza del SSN per le prestazioni rivolte ai malati di Alzheimer. Tale riconoscimento sussisterebbe solo a condizione della redazione di un piano terapeutico personalizzato (Cassazione, ordinanza nr. 13174 del 18/5/2023), differente dal Piano di Assistenza Individualizzato attualmente in uso presso le rsa.
Anche per l’indirizzo giurisprudenziale che riconosce la natura integralmente sanitaria del ricovero dei malati di Alzheimer, non si può prescindere dall’esame delle peculiarità del caso concreto: ad oggi cioè non è possibile ascrivere al Ssn il costo per tutti i malati di Alzheimer ricoverati in rsa
In conclusione, anche secondo il recente e a mio parere decisamente discutibile indirizzo giurisprudenziale che ha riconosciuto la natura integralmente sanitaria del ricovero dei malati di Alzheimer, non è possibile prescindere dall’esame delle peculiarità del caso concreto: ad oggi cioè non è possibile ascrivere al SSN il costo per tutti i malati di Alzheimer ricoverati in rsa.
Ricordo inoltre che l’Italia non è un paese di common law: pertanto, una sentenza di Cassazione, soprattutto in quanto non a Sezioni Unite su una materia in cui sono evidenti diverse letture giurisprudenziali, soggiace al fatto che il Giudice di primo o secondo grado, chiamato a giudicare sul caso concreto, dovrà rifarsi al dato normativo e fattuale ben prima che a ricostruzioni giurisprudenziali.
Luca Degani è presidente di Uneba Lombardia.
Rette per malati di Alzheimer in Rsa, chi paga? - Vita.it