Scarsità di personale in RSA: un problema trascurato
Nel 2023 lo scenario del settore sociosanitario dell’assistenza residenziale rivolta agli anziani non autosufficienti presenta, come è noto, diverse criticità. Quali sono, in questo momento, secondo la tua visione, quelle principali?
Possiamo dire che siamo messi male, in grandissime difficoltà di tipo organizzativo. La carenza di personale si fa sentire ogni giorno di più. Ed è una cosa impressionante come ci sia una quasi inconsapevolezza della gravità di questa situazione. Per esempio: per garantire tutti i servizi (e la rotazione, e le ferie) noi gestori siamo costretti a chiedere i salti mortali al poco personale disponibile. Purtroppo non vedo nemmeno all’orizzonte le soluzioni di questo problema: cioè non mi pare che la politica, le Regioni, lo Stato, il Ministero, gli ordini professionali si stiano impegnando veramente su questo fronte. Viceversa mi pare che lo stiano trascurando in modo incomprensibile, e questo porterà a una crisi veramente insostenibile del nostro sistema.
Soluzioni tampone…
Quindi, un primo problema che ci induce grande preoccupazione è proprio la carenza di personale: una realtà che bisogna affrontare tutti i giorni, avendo la necessità di coprire tutti i servizi. In merito ci sono iniziative un po’ disarticolate delle varie regioni, con situazioni transitorie quali gli infermieri provenienti dall’estero e altre soluzioni tampone; sarebbe necessario un documento di impegno tra tutte le organizzazioni del settore, ma dopo mille rinvii questo documento comune non si riesce a fare.
Ho impressione che ci siano riserve da parte di coloro che ostacolano quella che dovrebbe essere la giusta iniziativa:
… e soluzioni realizzabili
Aumentare i posti presso le scuole dei corsi di laurea in scienze infermieristiche – e sostenere gli studenti – potrebbe essere una delle soluzioni per ridurre il problema della carenza di personale in RSA. Una volta chi frequentava le scuole infermieri aveva un supporto economico e quindi poteva affrontare con maggiore serenità questo percorso di studi.
Tirocini retribuiti
E ancora, la possibilità di fare dei tirocini anche retribuiti presso le strutture. Sono iniziative per le quali anche noi, come Anaste, siamo disponibili a mettere delle risorse con l’obiettivo di attrarre e valorizzare gli infermieri. Queste cose, unitamente alla riduzione delle tasse universitarie, rappresentano un percorso per facilitare chi voglia affrontare questi studi.
Migliori condizioni economiche
Una volta ottenuta la laurea abilitante in scienze infermieristiche si deve puntare a un miglioramento delle condizioni economiche, perché anche questo conta, unitamente a una diversa organizzazione dell’ambiente di lavoro.
Formazione specifica
Va anche prevista una formazione specifica per le attività territoriali: oggi nelle scuole infermieristiche, come nelle scuole di medicina, ci si occupa per il 99% di materie sanitarie, mentre si affronta pochissimo l’attività di relazione, che è quella che invece serve nell’assistenza cronica di lungo termine. Il punto è la necessità di una revisione completa, sostanziale e rapida dei contenuti e dei processi formativi del personale sociosanitario specializzato.
La situazione degli OSS
E parliamo anche degli Operatori Socio Sanitari...
Infatti, poi c’è il problema degli OSS, che meriterebbe un’indicazione nazionale, perché ogni Regione sta creando delle soluzioni diverse, generando precedenti che poi rischiano di essere complicati e, per così dire pericolosi. Tra l’altro ho visto anche le proposte delle associazioni professionali degli OSS, quali il ritorno al cosiddetto infermiere generico, all’operatore di comunità, all’assistente familiare. Si tratta di ipotesi tra loro completamente scoordinate: si rischia così di perdere altro tempo, mentre tra poco avremo il collasso anche per gli OSS.
Gli OSS migliori: passano dal settore privato al pubblico
Quindi francamente non so più chi andrà ad assistere gli anziani e i disabili nelle strutture territoriali. Oggi abbiamo notevoli carenze di personale, molti sono andati via. I più attenti e più capaci (in particolare) sono passati dal settore privato a quello pubblico, trovando la collocazione che auspicavano nei reparti ospedalieri. Spesso però, sono assegnati all’attività territoriale, o ad attività da scrivania, finendo alle centrali di coordinamento, alle centrali operative territoriali, ai centri vaccinali, e a funzioni di supporto all’assistenza domiciliare. Di fatto, pochissimi sono quelli che sono andati “sul campo” come avrebbero desiderato e sperato.
L’infermiere è da solo, sotto vari punti di vista
Ho notato che dallo scorso anno accademico il numero delle iscrizioni si è raddoppiato e altrettanto accadrà l’anno prossimo. La mia impressione è che i tirocini connotano per lo più una formazione ospedaliera, mentre non ci sono percorsi specifici, per esempio quello geriatrico. Ovvero manca una specializzazione che motivi le persone, rafforzandole nelle competenze, capacità e aspettative professionali.
Il numero degli iscritti al primo anno è aumentato, ma rimane ancora altissimo il numero degli abbandoni durante il corso di studi, così che il numero finale dei laureati resta insufficiente.
E manca di certo una visione sugli aspetti complessivi. Ho lavorato come medico in ospedale per tantissimi anni e mi sono occupato anche di assistenza domiciliare: la formazione dell’infermiere territoriale, per esempio, non si è mai fatta, anche se si tratta a tutti gli effetti di un lavoro completamente diverso.
Per la maggior parte del tempo si gira nelle case, ci si deve rapportare con malati spesso complicati e i loro familiari, con situazioni complesse anche dal punto di vista sociale. Tutto ciò senza una formazione preliminare per quello che riguarda la gestione di un paziente a domicilio, anche dal punto di vista relazionale. L’infermiere si trova da solo a dover saper fare un po’ di tutto, senza nessuno a cui chiedere un supporto, un aiuto, una consulenza sul campo. Peraltro il sistema sanitario ha accolto all’interno migliaia di infermieri stranieri, creando nuovi ostacoli di barriera linguistica e culturale, ulteriori elementi per la discesa della qualità dei servizi.
Carenza di personale in RSA: un problema misconosciuto dalle istituzioni
C’è una visione carente, e non unica, in un quadro che vede scollegate su questi temi le Istituzioni, la politica, le associazioni datoriali e professionali…
Infatti. In questi anni il Ministero, le Regioni, gli ordini professionali e le università non si sono distinti nelle loro valutazioni, anche riguardo agli aspetti numerici. Le proposte quantitative avanzate dallo Stato si sono discostate pochissimo da quelle degli altri Enti. Non si è letta unitariamente la carenza di centomila infermieri, ma sono stati proposti numeri diversi, nettamente inferiori. Il problema è apparso come se fosse una novità – pur avendone evidenza da almeno un decennio – e si è riscontrata una carenza di personale non solo italiana ma europea. Un disastro atteso, annunciato. Oggi lo facciamo comparire come un’emergenza ma era una questione prevedibile: pian piano i nodi arrivano sempre al pettine.