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La promozione della libera concorrenza in Italia: un difficile equilibrio tra ombrelloni e percorsi di tutela della salute

La promozione della libera concorrenza in Italia: un difficile equilibrio tra ombrelloni e percorsi di tutela della salute

di Luca Degani *

È di pochi giorni fa la notizia della decisone del Consiglio dei ministri di approvare una proroga alla legge 118/2022 in tema di “apertura del mercato e della concorrenza” per quanto concerne la tematica dei Lidi balneari (spiagge), spostando la data di efficacia al termine del 2027 e lasciando amplissima discrezionalità agli Enti locali chiamati a valutare la proroga delle concessioni demaniali marittime. Nello stesso testo di legge, all’articolo 15, sono state introdotte sostanziali modifiche al Decreto legislativo 502/1992, recante la disciplina dell’Organizzazione del Sistema sanitario e sociosanitario nazionale, in ordine all’affidamento dei servizi a enti gestori privati, in particolare con riferimento all’accreditamento istituzionale e agli accordi contrattuali nel settore sanitario e sociosanitario. La norma prevede che dal 31.12.2024 si dovranno applicazione procedure concorsuali di selezione pubblica dei servizi sopra menzionati. Il settore sanitario e sociosanitario avrebbe potuto essere escluso da una applicazione così rigorosa della disciplina della concorrenza sia perché si qualifica come una attività sociale di interesse generale, così come definita dal Trattato di Lisbona della Ue, sia in quanto non rientra tra le materie per le quali, secondo la disciplina Bolkenstein, è obbligatoriamente prevista la libera concorrenza. Da rilevare l’ulteriore criticità determinata dall’art. 32 del Dm 19/12/2022 che, in applicazione della legge di cui sopra, va oltre il limite del dettato normativo, ponendo l’ulteriore condizione di incertezza dando una durata limitata nel tempo all’accreditamento. Per gli accordi contrattuali ex art. 8 quinquies Dlgs 502/1992 (c.d. contratti di budget), la più rilevante novità consiste nell’individuazione dei soggetti da contrattualizzare attraverso selezioni periodiche: gli enti pubblici accreditati vengono contrattualizzati senza selezioni, mentre gli enti privati devono sottostare a procedure di selezione. Emerge dunque subito una disparità di trattamento che pare di dubbia costituzionalità. Tali novità si inseriscono in un contesto economico che vede l’attuale offerta del sistema sanitario accreditato gestito da enti privati con natura profit e no profit che, ad esempio nella Regione Lombardia, corrisponde a oltre il 40% dell’offerta ospedaliera e al 90% dell’offerta di servizi residenziali, diurni, ambulatoriali e domiciliari per persone anziane, disabili, portatrici di patologie psichiatriche o affette da dipendenze tossicologiche o di altra tipologia. Un valore economico che, rispetto ai circa 130 miliardi circa di fondo sanitario nazionale annualmente stanzaiti, corrisponde ad alcune decine di miliardi di euro di prestazioni che oggi hanno visto numerosissimi operatori economici privati investire in termini strutturali e tecnologici per creare un sistema duale e già ampiamente concorrenziale di offerta sanitaria e sociosanitaria. È esemplificativo in questi termini il fatto che dei 65.000 posti oggi autorizzati per l’erogazione di servizi di Rsa, il valore di investimento, per il settore privato, corrsiponde ad oltre 6 miliardi di euro. Su tali strutture anche recenti discipline fiscal tributarie hanno inteso investire al fine del miglioramento qualificativo svariate centinaia di milioni di euro di finanza pubblica vincolata (vd. 110 per le onlus). Una concorrenza così intesa rischia di disincentivare gli investimenti e mettere in forse proprio quel principio di continuità di cura e di rete assistenziale che voleva essere il perno della nuova riforma sanitaria. Si auspica che il legislatore ponga almeno sullo stesso piano “gli ombrelloni” e i servizi a favore di anziani ultraottantacinquenni con tre o più comorbilità: popolazione tipica ospitata presso le Rsa. In tale contesto serve ricordare che il Pnrr dichiara di voler prendere in carico, attraverso il finanziamento di servizi di assistenza domiciliare, il 10% della popolazione ultrasessantacinquenne (un milione e mezzo di persone circa). È di tutta evidenza che sottoporre tale tipologia di servizi a una stagione di gare e ricorsi ne allontanerebbe inevitabilmente l’implementazione.

* Presidente Uneba Lombardia